Gazzetta di Mantova 27 gennaio 2015

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LA RAPINA DI LEVATA «Massacrati da quei due senza pietà» Drammatica testimonianza delle vittime della sanguinosa aggressione: hanno usato guanti appuntiti per toglierci la pelle di Giancarlo Oliani CURTATONE(Levata) «Mi hanno massacrato di botte. I colpi arrivavano da tutte le parti, alla testa, al torace, alla schiena e alle gambe. Per farmi dire la combinazione della cassaforte mi hanno afferrato un dito e stavano per tagliarlo con le cesoie. Hanno usato guanti appuntiti, con i quali mi hanno strappato la pelle. E non hanno avuto nessuna pietà nemmeno per mia moglie e mia suocera di novant’anni. Bestie, vere bestie». E la drammatica testimonianza di Franco Signorelli, settant’anni, l’ex barista di Levata, Vittima insieme all’intera sua famiglia, della sanguinosa rapina avvenuta il 7 febbraio dello scorso anno in via Canneti a Levata. Ieri pomeriggio la prima udienza del processo che vede sul banco degli imputati Ionut Marin, 24 anni, di Cittadella e Neculai Padurarau, 38 anni, di Roncoferraro. Entrambi di nazionalità romena e tuttora in carcere. Visibilmente sofferente per i traumi non ancora risolti, con il suo racconto ha fatto scendere il gelo in aula. Impassibili dietro le sbarre gli imputati. Sollecitato dalle domande del pubblico ministero Paola Reggiani, ha ricostruito la sanguinosa Vicenda: «Quella notte mia suocera che vive al piano terra della nostra abitazione aveva la febbre e anch’io non stavo bene. Verso le tre ho sentito un rumore. Ho pensato che fosse caduta dal letto. Sono sceso dalle scale e sono stato immediatamente aggredito. Mia suocera era a terra, l’avevano già picchiata di brutto e mia moglie scesa prima di me era riversa sul pavimento. Ho cercato di reagire, ma sono stato preso a sprangate in testa. Hanno usato il ferro del caminetto con il quale muovo le braci. A Brescia mi hanno detto che sono stato miracolato. I colpi alla schiena avrebbero potuto paralizzarmi. Poi hanno trovato 1a cassaforte. Per portarmi al piano superiore mi hanno avvolto in un tappeto ordinandomi di dare la combinazione: non ricordavo nulla. Mi hanno preso un dito, minacciando di tagliarlo. Sono svenuto per il dolore e loro mi hanno svegliato buttandomi dell’acqua in faccia». «Mi hanno legata, imbavagliata con un foulard stretto al collo. Mi hanno picchiata. Poi qualcuno mi ha tolto il bavaglio dicendomi respira, perché ero svenuta». A parlare è Vanna Golfré Andreasi, la moglie di Signorelli. La sua emozione è fortissima e a colpire è una frase: «Siamo persone tranquille. E pensavo di essere sicura nella mia casa, che amo come si può amare un figlio». Un’intimità violata che vale molto di più dei cinquantamila euro sottratti alla famiglia. Tutti e tre, lo ricordiamo, sono finiti in ospedale e la suocera novantenne, dopo essere stata dimessa ha avuto un collasso cardiocircolatorio. L’udienza è poi proseguita con la testimonianza dei vicini di casa che hanno lamentato che proprio in quel periodo il Comune aveva deciso di spegnere le luci di notte. Uno di loro, poche ore prima della rapina aveva notato tre persone aggirarsi in zona che gli si erano avvicinate per chiedere che strada dovevano prendere per arrivare a Cerese. A piedi. Circostanza molto sospetta. La prossima udienza è stata fissata al 13 aprile.

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